martedì 25 maggio 2010

Una troia è sempre una troia

Stamattina sono stata svegliata dal rumore della pioggia. Confusa ho
seguitato a osservare le gocce d'acqua rifrangersi contro i vetri della
finestra mentre, protetta dal calore del piumone, mi dibattevo nel
risveglio. Per nessuna ragione al mondo mi sarei allontanata dal letto
lasciando soli i miei ospiti.


Accanto a me c'erano due uomini. Uno mi aveva scopata per tutta la notte,
stringendomi forte a sé fino all'esaurimento delle forze, perché potessi
ricevere calore. L'altro, silenzioso, aveva favorito i miei eccessi di
piacere e vegliato sul mio sonno. Quello eri tu.


Tutta la notte, mentre scopavo con l'altro, ho pensato a te, perché tu eri
lì, disteso accanto a me, partecipe del suo piacere. I legàmi vanno sempre
in due direzioni. Chi come me ha accettato di farsi legare non si
considera inferiore a chi mi ha legata a sé. Legàmi e non legacci come
dici sempre tu, e hai ragione perché tu e io siamo un tutt'uno,
indissolubili.


Tutt'a un tratto ho girato il capo verso di te e ho incrociato il tuo
sguardo. Eri sveglio e mostravi gli occhi neri più profondi che non ti
abbia mai visto. In quel momento ho capito che avrei potuto tuffarmi
dentro e precipitare nel buio per sempre. Ho cominciato a piangere, tu mi
hai preso la mano e l'hai stretta forte. In quel momento ho capito che
dovevo avere fiducia in te, perché tu, silenzioso, in apparenza assente,
eri lì con tutto il tuo amore per me.


Non conosco la ragione per cui mi costringi a fare l'amore con altri
uomini, nemmeno voglio saperla. Quello che so per certo è che tu ed io non
possiamo stare lontani. Fra non molto, all'uscita dal lavoro, sarai lì ad
attendermi come ogni sera. Sono una cosa tua, ti appartengo, perché sei
l'unico uomo che riesce a trarre dal mio corpo i suoni del piacere.

mercoledì 12 maggio 2010

Una troia in erba

Mara non era una diciotenne molto diversa dalle sue coetanee, le piaceva la
musica moderna, le piacevano i vestiti, la bigiotteria e soprattutto i ragazzi.
A scuola andava abbastanza bene, ma lei cercava di piu' di una vita fatta solo
di amiche con cui parlare di ragazzi.
Suo papa', come tanti papa', aveva un computer a casa e anche Mara aveva
scoperto il piacere di usarlo per navigare in internet. Da alcuni mesi aveva
anche iniziato a chattare conoscendo Alberto, un ragazzo 24enne di una citta'
vicina. Nonostante la differenza di eta' Alberto la faceva sentire bella e
importante e non pote' presto non innamorarsene.
Furono mesi difficili. La scuola non andava bene e anche le amiche si erano
allontanata da lei che oramai si sentiva gia' adulta, legata ad un ragazzo cosi'
piu' grande. Anche in casa la situazione non era rosea; il padre si lamentava
dei suoi insuccessi scolastici e dell'uso sempre piu' massiccio che faceva del
computer e di internet.
Una sera Mara era triste anche se stava chattando con Alberto e fu in quel
preciso momento che lei decise di andare da lui, pur con tanta incertezza nel
cuore. Era un decisione presa cosi', di getto. Di lui conosceva soltanto il nome
e l'indirizzo. Non sapeva invece Alberto non era sempre stato sincero con lei...
Tento' di dissuaderla dal venire ma lei insistette, non volle sentire ragioni e
credendosi gia' grande volle provare, andare, scappare dal suo innamorato, senza
dire nulla ai genitori, immediatamente, di sera.
Mara corse a riempire il suo zainetto con un ricambio di vestiti, il dentifricio
e lo spazzolino, qualche soldo e usci' di casa senza dire nulla a suo papa' e a
sua mamma. Aspetto' un autobus e poi subito in stazione. "Che follia!" penso',
ma una follia d'amore. Sembrava una cosa cosi' bella, cosi' romantica!
In stazione aspetto' un treno, uno qualunque purche' fermasse nella citta' di
Alberto. Aspetto' un'ora ma poi finalmente il treno arrivo'. Chiese conferma
della destinazione ad una signora che partiva anche lei e poi sali'. Gli
scompartimenti erano quasi tutti vuoi e si sistemo' in uno di questi.
Il tempo scorse piano, il finestrino rimaneva sempre nero per il buio della
notte.
Quando arrivo' a destinazione Mara era felice anche se non sapeva dove andare.
Chiese qualche indicazione a dei personaggi poco raccomandabili, gli unici
presenti a quell'ora in stazione. Cammino' molto, da sola e impaurita'. Aveva
tanta voglia di arrivare, ma non arrivo' mai.
L'indirizzo non esisteva. La via era giusta, ma il numero civico non c'era. La
strada non arrivava fino al numero 65 come gli aveva detto Alberto. Fece passare
tutti i campanelli della via ma del cognome di Alberto non c'era traccia. Come
era possibile? Perche' Alberto non le aveva dato l'indirizzo giusto? E cosa
avrebbe fatto adesso?
Rimase un po' intontita. Dopo tutto quel viaggio... Aveva la testa piena di
pensieri che di colpo si erano congelati.
Lentamente fece qualche passo per tornare verso la stazione. Non ricordava
esattamente la strada, il buio e la solitudine della notte non l'aiutavano.
Ad un certo punto avvenne un incontro decisamente sfortunato. Un gruppo di
extracomunitari, tutti negri, le si fece incontro. Parlavano una lingua che lei
non conosceva, non capiva cosa dicessero. Loro si facevano sempre piu' spavaldi,
ridevano e iniziarono a spingerla. Poi si fecero seri, scambiarono qualche
parola, poi uno di loro la sollevo' tenendole una mano sulla bocca e una sulla
pancia e portarono via in fretta. Mara non capiva, si sentiva sballottata e
stretta, non sembrava vero quello che stava accadendo. Qualche passo ancora e fu
messa su un'auto che assieme ad altre parti'. Mara era sconvolta, non aveva la
forza di parlare.
Arrivarono in un posto ancora piu' buio, una specie di fabbricato abbandonato.
In giro c'erano soltanto sterpaglie e sporcizia. La poca luce che c'era era
ottenuta con qualche lampada attaccata a stento ad un quadro elettrico.
I negri non avevano fatto altro che parlare e ridere e ora chiamavano gli altri
che dormivano nel capannone. In tutto una trentina di uomini, tutti negri, chi
piu' scuro chi piu' chiaro. Iniziarono a spogliare Mara con irruenza. Fu allora
che scoppio' a piangere, e a urlare, e a divincolarsi con forza, ma non pote'
fare nulla. Loro erano tanti e forti, lei era una ragazzina di 18 anni.
Le misero della stoffa nella bocca legata intorno alla testa. Poi senti' che la
fecero sdraiare. E il dramma ebbe inizio.
Il primo negro si abbasso' i pantaloni e nel tripudio generale si stese sopra di
lei e la penetro' con forza. Mara era naturalmente ancora vergine, anzi in quel
momento ormai non lo era piu'. Il negro la scopo' muovendo il suo corpo nero su
quello bianco e cosi' piccolo di Mara. Era una immagine davvero oscena.
Continuo' per una decina di minuti, poi venne riempiendo la vagina di Mara col
suo sperma. Lei non aveva provato piacere, ma non fu cosi' quando il secondo e
poi il terzo negro si avvicendarono su di lei. Fu stuprata ancora e ancora con
forza, spingevano per entrare dentro di lei e depositavano il loro seme nel suo
piccolo corpicino. Mara era completamente soggiogata, non opponeva nessuna
resistenza, anzi aveva iniziato a provare piacere da quel rapporto cosi'
bestiale.
Altri negri approfittarono di lei in nuove posizioni. Le fecero fare di tutto,
la sodomizzarono, la misero a quattro zampe e la scoparono ferocemente in due,
poi le tolsero il bavaglio e la scoparono anche in tre. Mara ormai non pensava
piu', era preda del piacere sessuale che provava. Era tutto cosi' perverso e
bestiale e sporco ma a Mara piaceva da impazzire.
I negri le venivano ovunque, uno alla volta la scopavano nel canale che si era
reso momentaneamente libero e la riempivano di sperma, nella figa, nel culo e
nella bocca. Mara prendeva tutto e non lasciava scappare niente. Ormai godeva,
rideva e si prestava a tutti quei rapporti. Le piaceva essere stuprata a quella
maniera da un gruppo di negri.
Passarono ore intere, dieci negri, venti e poi trenta avevano approfittato del
suo corpo dolce e candido. Mara era esausta, veramente provata nello spirito e
nel corpo. Seme di negro usciva dal suo corpo e ricopriva il suo viso e il suo
corpo.
per un istante sembrava che tutto fosse finito, ma Mara anche se stanca ormai
sentiva di non poter piu' fare a meno di quello che aveva provato, cosi' si
avvicinava ai negri che l'avevano stuprata e di sua spontanea volonta' prendeva
in bocca il loro cazzo e lo succhiava finche' non le veniva in bocca.
Continuo' cosi' ancora per un'ora, poi stremata venne lasciata addormentare su
un materasso, cosi' com'era, nuda e ricoperta di sperma.
La mattina fu svegliata da un negro che stava approfittando di lei. Trovo' il
suo cazzo che stava entrando dentro di lei, ma questa volta fu diverso. Questa
volta Mara godette davvero e richiamo' gli altri negri perche' venissero a
vederla e a stuprarla anche loro.
Questa e' la storia di Mara e della sua prima volta, stuprata da un gruppo di
trenta negri. Non ha piu' fatto ritorno a casa e nessuno ha piu' saputo nulla di
lei. Oggi ha 20 anni, e' ancora la puttana di quel gruppo di negri e viene
fatta prostituire ad altri extracomunitari ma per sua scelta soltanto negri. E'
incinta di otto mesi ma non per questo rinuncia ai suoi quotidiani bestiali
stupri di gruppo.

lunedì 3 maggio 2010

Sculacciata pubblicamente

Gli ospiti stavano cominciando ad arrivare. Robyn poteva vederli attraverso
la tenda nera che separava il corridoio dalla sala principale. Gli ospiti
indossavano smoking e completi sfavillanti, che sembravano costare una
fortuna.


Sentiva il suo stomaco in preda all'emozione. Sapeva quello che stava
per succedere. Era stata ben preparata. Sapeva che in appena pochi minuti
lei e altre due dozzine di donne e uomini avrebbero fatto il loro ingresso
al party. Sarebbero usciti da dietro la tenda e si sarebbero fermati di
fronte alla folla. Lei e gli altri sarebbero stati completamente nudi.


Impallidì, con la gola secca. Si costrinse a respirare profondamente.
"Posso farcela" pensò "devo farcela". La sua mente fu rapidamente percorsa
dal ricordo di tutti i suoi debiti, inclusa la nota di debito nei confronti
del landlord: paga o sei fuori. Non aveva proprio scelta, pensò. Questo,
oppure la strada. I tremila dollari che avrebbe guadagnato stasera sarebbero
stati sufficienti per pagere i suoi debiti, e forse le sarebbe rimasta anche
qualcosa per comprare un nuovo vestito! E se Nancy aveva ragione riguardo al
futuro, avrebbe potuto guadagnare 3 o perfino 5mila dollari alla settimana
semplicemente partecipando ad un party ad ogni weekend. "Se riesci a
sopportarlo" fu il pensiero che le attraversò la mente, ma che fu subito
allontanato.


La sala era affollata, ora. Gli ospiti stavano parlando ad alta voce,
mangiando crackers e formaggio, pizzette, caviale, frutti esotici e dozzine
di altre delicatezze.


Improvvisamente qualcuno le pizzicò il sedere, e Robyn sobbalzò
girandosi velocemente. Si trovò davanti Nancy. "Se il tuo sedere è così
sensibile ora, aspetta a vedere come sarà domani, dolcezza!" Ella stava
ridendo mentre diceva queste parole, con i suoi simpatici occhi marroni
brillanti per lo humor, i suoi capelli neri sciolti sulle spalle. Ma Robyn
non riuscì a sorridere, con il cuore ghiacciato dal terrore.


"Non ce la faccio," pensò freneticamente. "Non posso." Ma nel profondo
sapeva che lo avrebbe dovuto fare.


"Non preoccuparti, te la caverai," sussurrò Nancy.


Prima che Robyn potesse rispondere, il silenzio calò improvviso tra i
suoi compagni. Nancy fu spinta davanti a Robyn e accompagnata da un rullo di
tamburo attraversò la tenda. Robyn la osservò mentre attraversava la sala
fino in fondo per poi fermarsi e girarsi verso la folla degli ospiti.


Immediatamente iniziarono le offerte da parte degli ospiti. Mr.
Alexander, il padrone di casa, si occupava di gestire l'asta. Arrossendo
Robyn vide come Nancy veniva osservata, le sue natiche colpite, e portata
via dopo essere stata venduta. Quindi toccò ad un altro, e poi ancora,
finchè non fu il suo turno.


Deglutì e si fece avanti nella luce brillante. Poteva sentire la sua
faccia bruciare sotto il tocco di tutti quegli occhi che la guardavano.
Poteva sentirli posarsi sul suo seno, sul pube, sulle sue natiche. Si fermò
alla fine del corridoio e le offerte iniziarono. Mr. Alexander le si
avvicinò per toccarla nel modo che gli altri desideravano.


"Solo 500 dollari per un corpo come questo? Guardate che magnifico seno!
E che natiche! Incredibili. Così soffici e morbide e ballonzolanti. Non è
mai stata sculacciata, ve lo garantisco. Una delizia, una vera delizia, vale
almeno il doppio di quanto avete offerto."


Con orrore Robyn si inginocchiò mentre Mr. Alexander le allargava le
natiche e le gambe per mostrare ciò che esse nascondevano. Si sentiva così
nuda e vulnerabile, e non era per niente incoraggiata dal fatto che le
offerte erano arrivate alla cifra record della serata di 4200 dollari. Si
sentiva confusa e sognante mentre delle dita la perquisivano, e degli occhi
inquisitori la esaminavano così profondamente come neanche il suo dottore
aveva mai fatto.


Il primo colpo di paddle giunse come uno shock completo. Aveva visto
cosa era successo agli altri, ma ora toccava a lei. Non fece tutto il male
che lei si era aspettata. Era un paddle di cuoio sottile, ma molto largo e
flessibile. Ogni volta che colpiva le sua rosse natiche le rendeva bianche
per un istante. Pizzicava, ma i colpi erano sopportabili


Improvvisamente, tra la confusione, la folla, e la vergogna, Robyn
pensò che sembrava un sogno. Sembrava tutto così irreale. Si sentì
trasportata, e non fu più consapevole del paddle. Si sentiva in un certo
modo calma. Era confusa, terrorizzata, imbarazzata, ma queste emozioni
sembravano stranamente distanti. Di reale c'era solo il dolore, era il
dolore il suo unico pensiero, il suo solo concetto di se stessa. Il dolore
era tutto ciò che conosceva, tutto ciò che le interessava.


Non un dolore insopportabile, ma un dolore squisito, un dolore che era
nato per uno scopo, il dolore per il piacere. In un lampo, Robyn si accorse
che Rex, l'assistente di Mr. Alexander, che si occupava del paddle, lo aveva
sostituito con un attrezzo di legno che le stava davvero torturando le
natiche. Esso la abbassava verso il pavimento ad ogni colpo, e le doveva
arcuare la schiena e spingere le natiche più in alto per ricevere i colpi.


Ora si trovava inginocchiata, con il seno pesante penzoloni e
ballonzolante davanti a lei ad ogni colpo ricevuto. I colpi ora erano
diventati più veloci, e più forti. La folla era quasi in delirio per il
piacere, e gridava a Rex di colpirla sempre più forte.


Improvvisamente Rex si fermò, e Robyn si accorse di stare ancora
seguendo con il corpo il ritmo dei colpi che non arrivavano più. Con la
faccia rigata dalle lacrime Robyn arrossì furiosamente, e Rex prontamente le
allargò le gambe per mostrare alla folla il suo sesso bagnato.


Vergognosamente fu portata via dal palco, ancora a quattro zampe, con
un collare attaccato al collo. Delle mani le toccavano il seno, altre la
sculacciavano sulle natiche doloranti, o le pizzicavano le cosce mentre
passava tra la folla. Attraversarono un certo numero di stanze fino a che
Robyn non ebbe più idea di dove si trovasse. C'erano cose da vedere e suoni
tutto intorno, uomini e donne nudi, il suono dei paddles e delle fruste che
colpivano la carne viva, lamenti di corpi torturati contemporaneamente a
lamenti di corpi in preda al piacere. Ma Robyn non notò niente di tutto ciò.


Quando finalmente si fermarono ella si accorse che la punizione la
aveva così scombussolata che non aveva neanche fatto caso a chi fosse il suo
master per il pomeriggio. Con sorpresa si accorse che lui la stava
guardando, e che era carino, con corti capelli biondi e occhi blu che
lampeggiavano di curiosità e simpatia. Era giovane, molto giovane. Forte e
atletico, ma non eccessivamente. Improvvisamente le parlò.


"Il tuo nome è Angela. Se non risponderai a questo nome, ti punirò
molto severamente. Penso che per iniziare potrei sculacciarti." Senza altre
parole, si sedette su uno sgabello e la fece sdraiare sulle sue gambe. Lei
si trovava sulla schiena, con la faccia rivolta verso di lui, terrificata.
Lui la raggiunse e iniziò a tirarle e a schiacciarle le tette fra le dita, e
lei iùcominciò a mugolare per il piacere ed il dolore.


Lei pensò "Fa male ma non voglio che smetta." Quando il suo seno fu
abbastanza dolorante e duro, egli la girò e iniziò lo stesso trattamento
sulle sue natiche, stringendo e pizzicando senza pietà, ignorando i suoi
lamenti di dolore e di delizia.


Quindi iniziarono le sculacciate. Stava usando la mano, ma i colpi erano
comunque solidi e molto forti. Più veloce essi arrivavano, più Robyn annaspò
per cercare aria, con le lacrime che le riempivano la bocca. Ma le
sculacciate non si fermarono, anzi accelerarono, più forti e più veloci,
prima su una natica poi sull'altra, quindi sulle cosce e persino sulle
caviglie, e quindi di nuovo sulle natiche doloranti.


A volte egli si fermava, coprendole le natiche con le mani in modo da
sentirne la rotondità, le curve e la sofficità, e lei si rilassava, convinta
che fosse tutto finito. Ma poi egli ricominciava, più forte di prima.


Quando infine si fermò, Robyn stava piangendo più forte che durante il
paddling. Stava singhiozzando, e tutto ciò che riuscì a fare fu di coprirsi
le natiche con le mani. Ma egli la fece anzare.


"Il mio nome è Martin, ma tu chiamami master. Andiamo a divertirci, ti
va??" Con cuore coraggioso, ella si inginocchiò davanti a lui, quindi lo
seguì.


Si accorse che c'era gente dovunque, cosicchè tutta la gente doveva
essersi sparsa per tutte le sale del palazzo in cerca di piacere. Vide sul
muro alla loro destra due schiavi, un maschio ed una femmina, attaccati dai
polsi a degli anelli sul muro. Un piccolo gruppo si era formato loro
intorno, e con orrore Robyn si accorse che ognuno, previa il pagamento di
una piccola quota, poteva punirli e colpirli a piacimento. Si lamentò alla
vista di un uomo robusto che colpiva la ragazza, il cui corpo dondolava ad
ogni colpo tremendo ricevuto, il cui suono echeggiava su e giù per il
corridoio.


Ma proseguirono, con Martin che le faceva fretta accarezzandola con la
parte terminale della sua cintura. Robyn camminava così velocemente da non
poter vedere quello che stava accadendo agli altri schiavi.


Entrarono in una stanza larga. Si sentiva musica carnevalesca e l'
atmosfera era gioviale. Anche Martin divenne improvvisamente gioviale. Robyn
si accorse che c'erano molti venditori e stands. Si fermarono di fronte ad
un palco e vide una ragazza nuda legata e si accorse con orrore che si
trattava di Nancy. Era a faccia in giù, con la parte anteriore delle cosce
su una piccola piattaforma rettangolare. Con repulsione Robyn si accorse che
era stata legata fermamente. Il cartello in alto diceva "Misura la tua
forza" e mentre guardava un uomo muscoloso si avvicinò e alzò un pesante
paddle oltre la sua testa.


Robyn gridò quando il colpo atterrò sulle natiche di Nancy, spingendola
verso il basso e mandando verso l'alto una palla bianca fissata ad un'asta
metrica. A circa metà dell'asta la pallina tornò verso il basso. L'uomo
muscoloso diede del denaro ad un piccoletto lì a fianco e riprovò il colpo.
Questa volta la pallina salì un po' di più, ma tutto ciò che Robyn vide fu l
'agonia sul viso di Nancy.


Il sedere di Nancy era già rosso vivo e punito, e Robyn poteva a
malapena immaginare il dolore della sua amica, ma ci fu anche un'altra cosa
che notò e che la terrorizzò ancora di più.


Tra le gambe di Nancy si trovava un largo fallo, orientato in modo da
penetrarla, e Nancy vi si muoveva intorno, usandolo. Ogni colpo lo spingeva
sempre più dentro di lei senza pietà, e lei stava gemendo e lamentandosi
miserevolmente, ma Robyn non potè capire se per il dolore o per il piacere.


Mentre Martin la portava via, Robyn si sentì arrossire. Essere così
mostrata, colpita senza pietà, masturbandosi in pubblico, era una cosa che
sapeva non sarebbe mai riuscita a fare.


Ma erano arrivati ad un altro palco, e qui il suo master pagò un uomo e
la portò nella stanza di fronte. Qui si trovavano tre schiavi, uomini
robusti. Si ricordò di averli visti in precedenza, ma non ne conosceva il
nome. Erano nudi e la guardavano, con i lunghi cazzi eretti e duri.


Martin le porse sei anelli colorati e improvvisamente con vergogna e
disperazione lei capì cosa avrebbe dovuto fare. Guardò il master
supplicante, ma i suoi occhi erano duri e decisi. "Fai almeno un centro
oppure ti darò al pubblico per un'ora," le sussurrò.


Con un singhiozzo di rassegnazione Robyn lanciò il primo anello, che
colpì lo stomaco del primo schiavo e cadde a terra. Il secondo e il terzo
non andarono meglio, e Robyn stava iniziando a rassegnarsi alla pubblica
esposizione, sebbene il suo cuore si stesse ghiacciando al pensiero di
ulteriori punizioni. Il quarto anello colpì il cazzo del secondo schiavo, ma
non si infilò, e il quinto mancò completamente il terzo schiavo.


Sentì delle grida provenire dall'altra parte, dove qualcuno era
riuscito a infilare il primo schiavo, e lei si vergognò di non essere
riuscita a fare altrettanto. Con disperazione si preparò a lanciare per l'
ultima volta quando Martin la fermò. Parlò brevemenre con il manager, il
quale gli diede un paddle largo di legno giallo.


Robyn si lamentò a quella vista, e le lacrime presero a colmarle gli
occhi. Ma si sentì ancora più umiliata quando Martin chiamò allegramente le
persone intorno. "La mia Angela ha bisogno di un castigo appropriato.
Qualcuno vuole provvedere?"


Immediatamente si formò una coda di uomini e donne, e Martin la spostò
dalla linea da cui si lanciavano gli anelli e le disse di stare ferma in
piedi con le mani incrociate dietro la schiena. Essa obbed', con il viso
rosso. Arrossì ancora di più quando sentì che il paddle le allargava le
gambe e le dita di Martin che le aprivano le natiche.


Si trovava faccia a faccia con la coda, e il suo cuore sussultò al
vedere quanto era lunga. C'erano già più di dieci persone, e altre si
stavano avvicinando. La prima era un vecchio, grande e grosso, che sapeva
come colpire. I suoi tre colpi la lasciarono senza respiro e le lacrime le
coprirono il viso, con la vergogna ancora più forte di essere costretta a
guardare in volto il suo torturatore.


Quando il successivo, una giovane ragazza carina, si fece avanti, Robyn
notò che il vecchio grasso si era rimesso in fila. Sarebbe tornato ancora!
Ma la donna stava facendo il suo dovere, e anche lei sapeva usare il paddle.
I suoi cinque colpi le fecero male quanto i primi tre. Quindi toccò ad un
giovane muscoloso, quindi ad una donna anziana, e quindi a vari giovani, poi
a due donne di mezza età, e ancora e ancora. Sembrava che la linea non
finisse mai, il che era in effetti vero, dato che la gente continuava ad
arrivare e chi aveva già fatto si riposizionava alla fine della coda. Il
paddling continuò per circa mezz'ora. Molti ospiti avevano iniziato a
colpirla sulle gambe, poiché erano ancora fresche e intatte, e nel momento
in cui Martin mise fine al trattamento Robyn fu sicura che erano ormai state
trasformate in carne viva. Anche il solo tocco della mano di Martin sulle
natiche la portava in agonia, ed ella si allontanò da lui, col viso solcato
da lacrime infinite e lamentandosi così forte da infastidire anche le sue
orecchie.


Nuovamente al lancio degli anelli, Martin la portò dentro. Fu portata
da ciascun uomo, e lei dovette prendere i loro cazzi e soddisfarli uno ad
uno, mentre i loro padroni li sculacciavano furiosamente da dietro. Quindi
Robyn dovette ristimolare gli schiavi al loro precedente stato di erezione
in modo che potessero continuare il loro lavoro.


Robyn pensava che Martin avesse dimenticato l'ultimo anello, ma la
fortuna non fu dalla sua. Il suo lancio andò male e le fu preannunciato che
la punizione si sarebbe effettuata più tardi.


Proseguirono, con Robyn nuovamente carponi. Oltrepassarono molti
stands, incluso uno dove tre ragazze sedute a gambe larghe venivano irrorate
nei loro pertugi dalla folla per mezzo di violenti schizzi d'acqua. Sembrava
che la vittoria fosse per il primo che riuscisse a farle venire.


Un altro stand consisteva nel tiro al bersaglio, con i bersagli formati
da culi, piselli, e seni, e le pistole delle pistole a gommini. Robyn vide
uno stand alla sua sinistra dove un vecchio bendato cercava di indovinare l'
età e il peso del master esplorando la forma e il tipo dei peli pubici del
suo schiavo. Respirò con sollievo quando lo oltrepassarono senza fermarsi.
Non le era piaciuto come toccava le donne.


Passarono attraverso una larga area giochi dove due squadre
apparentemente usavano come palla quattro schiavi. I quattro erano legati
assieme, tutti con la faccia all'interno, e guidati attraverso delle larghe
strisce di cuoio. Robyn non potè vedere come venivano assegnati i punti,
dato che principalmente le due squadre inseguivano semplicemente la palla
sul ring, frustando le natiche e la pelle che avevano davanti.


Subito dopo c'era uno stand che fece percorrere la schiena di Robyn da
brividi freddi. Era una gara. I concorrenti erano schiavi maschi e femmine,
dove le donne, a quattro zampe, dovevano prendere in bocca i cazzi degli
uomini e correre contro le altre squadre fino al traguardo. Se il cazzo
lasciava la bocca, erano squalificati e puniti severamente. I perdenti
venivano severamente sculacciati da un robusto uomo nero.


Infine si fermarono ad un altro stand, e Robyn si lamentò quando vide
cosa stava accadendo. Era sempre una gara, ma col cronometro. Il tempo più
veloce di ogni batteria si qualificava per le finali del pomeriggio. Il
percorso era simile ad un percorso di minigolf, e i partecipanti,
inginocchiati con le mani dietro il collo, dovevano spingere delle palle da
golf col naso fin dentro le buche. C'erano nove buche, ognuna leggermente
più difficile della precedente. Il "par" era di quattro minuti e mezzo, ma
il record del giorno era solo di 4:10. La cosa difficile era che il master
guidava lo schiavo usando i colpi di un paddle. E Robyn non ce la faceva
più.


Ma fu spinta nella fila ad aspettare il turno, con il sedere già
bruciante e dolorante. Guardò il concorrente attuale, una giovane bionda,
con le lacrime che le solcavano il viso mentre cercava freneticamente di
ritrovare la palla che era finita dentro una buca di penalizzazione che l'
aveva rimandata indietro nel percorso, mentre il suo master la colpiva
furiosamente per il suo errore, spingendola a sbrigarsi, con l'orologio
instancabile che proseguiva. Nella sua corsa. La ragazza spinse
disperatamente la palla su per una collinetta, con le ginocchia e i
capezzoli color rosso vivo per il costante attrito col tappeto, mentre il
master le colpiva le natiche, e il suo tesoro nascosto chiaramente visibile
quando raggiunse la cima del monticello.


Poi fu la volta di un giovane, con le gambe tenute allargate in modo
che il cazzo occasionalmente strusciasse sul tappeto. Robyn tremò nelle sue
convinzioni. Che potesse essere spinta così in basso, come un animale. Che
poteva essere sottoposta a tali giochi e punizioni. Era impossibile. Non
poteva farlo. Ma poi ricordò che se si fosse ritirata non avrebbe ricevuto
alcun pagamento, niente eccetto un sedere dolorante e un sacco di ricordi
imbarazzanti. Si rafforzò nella sua decisione. Poteva farcela. Anzi, avrebbe
vinto la sua batteria!


Improvvisamente la donna che la precedeva fu portata avanti e Robyn
capì che la prossima era lei. Si avvicinò al cancello, tremando, con lo
stomaco debole e la gola secca. Tutto ciò che poteva sentire intorno a lei
era la folla che faceva il tifo, il battere incessante del paddle, la
vergogna tremenda che provava nel partecipare.


Ma si sentiva anche eccitata. Il dolore e il pulsare delle sue tette,
il tremore dei polsi e delle caviglie, e il dolore sordo delle natiche le
ricordavano la sua sensualità, attrattività e femminilità. Si sentiva rotta,
sottomessa, ma viva dentro. Era impaziente di raggiungere il tracciato, di
sentire la folla tifare, perfino impaziente di sentire il paddle colpirla.


Poi il cancello fu aperto e lei entrò, con le ginocchia sul tappeto. Il
primo colpo di paddle coincise con il fischio che dava il via e lei si
spinse avanti, cercando di ignorare l'umidore pulsante fra le gambe, il
calore lì che era quasi più forte di quello delle sue natiche brucianti.


Alla prima buca arrivò troppo veloce, e perse molto tempo cercando di
riorientare la palla, con il paddling che continuava imperterrito. Imparò
subito ad essere più attenta. Alla terza buca era già diventata un'esperta.
Era semplice. Invece che cercare di sfuggire il paddle, lo accettò, lo
ricevette, quasi gli diede il benvenuto. Era il suo cronometro. Ogni colpo
significava che stava perdendo tempo. Ma se tentava di sfuggire, avrebbe
perso ancora più tempo. Sebbene fosse difficile, sopportò il dolore e
mantenne il controllo sulla palla.


Continuarono il percorso, correndo, correndo, con il paddle che
continuava a colpire. I colpi erano forti e veloci e rumorosi, e Robyn
riusciva a malapena a sentire la folla, coperta dal rumore dei colpi. La
cosa peggiore era la sua posizione, inarcata con la schiena e con il viso a
terra, le natiche in alto ed esposte, le gambe larghe così da rivelare
tutto, il suo tenero seno costretto a strusciare contro il ruvido tappeto.
Un altro problema era che il paddle non colpiva mai allo stesso posto. I
colpi la facevano ondeggiare, e le infliggevano stilettate di dolore, mentre
la faccia le bruciava per la vergogna e l'umiliazione.


Avevano quasi completato il percorso, ora, e lei non aveva idea del
tempo impiegato, che le sembrava infinito. Si lamentò quando la palla cadde
in una trappola di acqua, ma questa era fresca e corroborante quando vi si
immerse. Le ci vollero molti tentativi per prendere la palla tra i denti, e
una volta addirittura le cadde per un colpo particolarmente violento del suo
master. Era atterrato sulla carne tenera sulla destra della sua natica
destra, e il gran dolore le aveva fatto lasciare la palla. Ma l'acqua l'
aveva risvegliata, e sebbene fosse costretta ad attendere i cinque secondi
di penalità sotto i colpi di Martin, pensò addirittura di rimandarla
indietro per ricevere qualche altro colpo, ma fortunatamente accantonò
subito l'idea.


Improvvisamente furono alla fine, e lei stette accasciata e
boccheggiante, senza accorgersi delle urla della folla e dell'eccitazione di
Martin. Egli la prese per le braccia e infine lei vide il risultato: 4:08.
Aveva battuto il tempo! Aveva il miglior tempo del giorno! Come in sogno
sentì Martin che si congratulava con lei. "Sei stata fantastica!
Increbibile! Alle finali stasera vincerai!" Le ci volle un momento per
capire cosa significasse ciò, e con una strana miscela di eccitazione e
disperazione e orgoglio, capì che avrebbe dovuto rifare il percorso un'altra
volta.